In occasione dei 10 anni della sua costituzione e nell’ambito delle sue attività culturali il Club per l’UNESCO di Brindisi e il Museo Archeologico Provinciale “F. Ribezzo” (MAPRI) propongono la mostra “CERAMICA – Testimonianze di una continuità”.
Esposizione della ricca collezione di ceramiche di uso comune dell’artista Mimmo Vestita di Grottaglie e alcune delle opere contemporanee dell’artista Romeo Leone di Taranto, ispirate, nella tecnica del colore, al “nero greco” dell’antichità classica.
il Museo, pur con il suo ruolo istituzionale di custode di reperti antichi, si apre come centro di cultura anche al mondo dell’arte contemporanea, stabilendo con essa una relazione che non è certo data dalla vicinanza fisica delle opere, portando i suoi fruitori a riflettere sull’interazione tra attualità dell’arte antica e impulso innovativo delle esperienze artistiche più recenti.
Le ceramiche che Vestita espone abbracciano un arco di tempo che va dalla fine del ‘700 alla prima metà del ‘900. Sono soprattutto ceramiche di uso comune che affascinano per la loro vitalità espressiva perché capaci di farci tornare indietro nel tempo a rivivere atmosfere passate. Sono ceramiche che difficilmente sono apparse in mostre che hanno spesso privilegiato la maiolica decorata più amata dai collezionisti.
Mimmo Vestita
Ceramista da generazioni, appassionato collezionista ed esperto conoscitore della ceramica pugliese, Mimmo Vestita è nato a Grottaglie nel 1953.
Le ceramiche che espone in questa mostra abbracciano un arco di tempo che va dalla fine del ‘700 alla prima metà del ‘900.
La maggior parte di esse riguarda la ceramica di uso comune non istoriata e così rivalutata ai nostri giorni e la ceramica decorata a festoni, pampini, greche in cui i colori prevalenti sono il blu, il verde, il giallo e il bruno di manganese.
Vanta numerose collaborazioni con musei nazionali e internazionali nell’ambito della divulgazione delle antiche tecniche ceramiche.
Ospite fisso della Borsa del Turismo Archeologico di Paestum per la quale tiene annualmente dimostrazione sulle tecniche di realizzazione e decorazione della ceramica appula, attica e magnogreca.
Espone i suoi manufatti ceramici in diverse mostre tematiche nazionali nell’ambito delle quali ha vinto molti premi.
Collabora con diversi designers pugliesi insieme ai quali ha esposto in numerose rassegne nazionali e internazionali come la Biennale di Venezia, Abitare il tempo e Salone del mobile.
Negli anni ’80, insieme con l’architetto Martini ha curato la realizzazione di diverse mostre su ceramica e architettura a Grottaglie: “Vasi e Tufi” nel 1982; l’ottavo Concorso di “Ceramica Mediterranea” nel 1986; a Roma, “Artigianato e Artigiano” nel 1987; “Memoria Storica della Tradizione ceramica grottagliese” nel 1988; “Carnevale a Grottaglie, maschere in ceramica” nel 1989; nell’estate dello stesso anno, “A ricordo degli antichi giardini” nell’ambito della rassegna “La Ceramica nel quartiere delle ceramiche”.
Nel 2005 e nel 2009 ha curato la Mostra del Presepe presso il Castello Episcopio di Grottaglie e dal 2012 collabora con l’archeologo Simone Mirto insieme con il quale ha realizzato le mostre, “Bacco incontra la creta”, “Sacralità domestica” e “Festa Grande”.
È stato presidente dei ceramisti di Grottaglie tra il 1986 e il 1989, periodo in cui il Quartiere delle ceramiche ha conosciuto uno dei più vivaci momenti commerciali dell’ultimo cinquantennio.
Ingresso
La Ceramica – Testimonianze di una continuità
Il Museo Archeologico “Francesco Ribezzo” di Brindisi ospita la mostra:”Ceramica: testimonianze di una continuità”.
La mostra che attraversa alcune delle sale espositive permettendo al visitatore di posare lo sguardo sull’intero allestimento museale e sul patrimonio ivi contenuto, espone parte della collezione Vestita di Grottaglie e alcune opere dell’artista contemporaneo Romeo Leone.
Filo conduttore è la ceramica che, prodotta dall’uomo fin dal paleolitico, continua a trovare espressione nelle mani di artisti contemporanei che traggono ispirazione dall’insegnamento del passato.
Le ceramiche che Mimmo Vestita ha voluto esporre, raccolte nel tempo e salvate per farci tornare indietro a rivivere con la loto vitalità espressiva tempi andati e vissuto, sono soprattutto quelle di uso comune, di solito sottovalutate perché spesso trascurate dai collezionisti più interessati alla maiolica decorata.
Le opere contemporanee di Romeo Leone, ispirate all’antichità classica nell’uso del “nero greco”, testimoniano il valore ancora attuale dello studio delle antiche tecniche così ben rappresentate in molti dei reperti presenti nel Museo.
L’argilla
La più antica testimonianza dell’uso dell’argilla è una Dea Madre in ceramica, trovata in Moravia e risalente al Paleolitico Superiore.
La rivoluzione neolitica vede poi lo sviluppo di una vera e propria tecnologia ceramica: in Mesopotamia inizia la produzione di vasellame di vario tipo foggiato a mano e cotto a fiamma diretta. Solo più tardi, fra il settimo e il quarto secolo a.C., compare in Grecia e in Egitto il tornio, mosso da un volano azionato dal piede del vasaio.
Nella più remota antichità i manufatti foggiati a mano venivano cotti a cielo aperto e a contatto diretto con il combustibile che per lo più era legna. Successivamente, al fine di ottenere cotture più omogenee e oggetti più raffinati, si cominciarono a usare forni veri e propri in cui la legna, bruciando nella camera di combustione, riscaldava la camera di cottura che conteneva gli oggetti. Più recentemente sono entrati in uso forni elettrici o alimentati a gas.
Un tempo, a Grottaglie, erano gli stessi artigiani che cavavano la creta servendosi di una pesante zappa dal “musu” a forma di mezzaluna. Le cave, a seconda della loro localizzazione davano argille diverse.
C’era la creta stagna, un’argilla grassa, molto plastica, la migliore da modellare, ma delicata in cottura; la creta sfogliosa che per la presenza di sabbia sottilissima è difficile rendere omogenea e durante l’essiccamento è soggetta a rotture; la creta renosa, un’argilla magra con molta sabbia, resistente in cottura, ma difficile da modellare. Il vasaio spesso mescolava le diverse argille per ottenere un impasto plastico e resistente alla cottura.
Dopo l’estrazione a mano, le argille venivano trasportate fino al piazzale davanti alla bottega e messe ad asciugare. Poi erano battute con un bastone di ferro (la mazza ti fierru) per frantumarne le zolle e un operaio o lo stesso vasaio con un bastone di legno (il magghiu) riduceva le zolle più piccole in minuti frammenti che passati ad un setaccio anch’esso di ferro (lo scigghialuru) le riduceva in polvere sottile. Questa serviva a rendere più soda l’argilla, diluita eventualmente in troppa acqua. Le altre zolle manualmente depurate e messe in pile rettangolari di pietra piene d’acqua si ammorbidivano ed erano pronte per essere impastate e quindi lavorate a mano o al tornio.
Sala 1
Robba gialla
Si ottiene cospargendo il manufatto crudo e parzialmente essiccato con una crema di argilla bianca che si chiama “ingobbio” per ottenere la quale viene utilizzata un’argilla chiara, il “gissu”, proveniente dalla Calabria meridionale. Dopo il completo essiccamento l’oggetto viene invetriato, cioè cosparso con una “vetrina”, detta anche cristallina, di argilla colorata con ossido di ferro che in cottura dà il caratteristico color miele
Robba verde
Uguale procedimento, ma la “vetrina” viene colorata con ossido di rame che in cottura diviene verde
Robba paonazzo
In questo caso la “vetrina” è colorata con ossido di manganese che in cottura dà il caratteristico colore “bruno di manganese”
Robba bianca o mezza maiolica
Lo stesso procedimento ma, dopo la prima cottura,il pezzo viene rivestito con uno strato leggero di smalto stannifero (di stagno) che, con la seconda cottura, risulta semitrasparente e lascia intravedere il tenue colore avorio dell’ingobbio sottostante
Robba smarmriata (cioè marmorizzata)
L’oggetto, parzialmente essiccato, viene cosparso con un ingobbio ottenuto dal “bolo”, una terra argillosa ricca di ossido di ferro che in cottura diventa di colore rosso mattone. Su questo ingobbio, ancora fluido, viene spruzzato un altro ingobbio, però bianco, che crea le caratteristiche macchie color crema. Dopo il completo essiccamento, il manufatto viene rivestito con una invetriatura ricavata da una sabbia silicea che i vasai grottagliesi ancor oggi raccolgono nei pressi di Francavilla Fontana e che dà il caratteristico color giallino.
Ceramica da fuoco
L’argilla usata per questo tipo di manufatti è più ricca di ossidi di ferro che la rendono resistente agli sbalzi termici. I pezzi vengono poi invetriati internamente e, parzialmente, anche all’esterno
Sala 2
Manufatti
È il tipo di argilla usata che determina la prima classificazione dei manufatti: ceramica da acqua e ceramica da fuoco.
La prima comprende un infinità di forme e di oggetti sia funzionali che decorativi; la seconda è costituita da tutto quanto può servire per la cottura dei cibi.
Ceramica da acqua
Ceramica rustica
Appartengono a questa categoria tutte le terrecotte lasciate grezze; subiscono una sola cottura e non hanno alcun rivestimento. I manufatti più comuni sono le craste per contenere piante e i cofani per lavare i panni.
Ceramica invetriata: Maiolica e terracotta invetriata
La ceramica invetriata è rivestita da una copertura costituita da uno strato di impasto vetroso che ne garantisce l’impermeabilità.
Tale impasto è composto da sabbia silicea ridotta in polvere sottilissima che in cottura fonde e si trasforma in vetro.
Per abbassare la temperatura di fusione della sabbia silicea, altrimenti troppo alta, si aggiunge un fondente che può essere ossido di piombo che dà un vetro incolore, trasparente e piuttosto delicato, ; detto vetrina o cristallina, oppure il più costoso ossido di stagno che dà un vetro opalino bianco, non trasparente e più resistente, detto smalto, sul quale è possibile eseguire una decorazione con pigmenti a base di ossidi metallici.
Vetrine e smalti possono comunque essere colorati con ossidi metallici.
In passato i prodotti ceramici si distinguevano in maioliche, pregiate e destinate ad una committenza ricca e che richiedevano una mano d’opera specializzata e materiali più costosi, e terrecotte e terrecotte invetriate che, pur richiedendo grande impegno nella lavorazione, impiegavano materiali meno cari. Oggi le più recenti tecnologie consentono la produzione di più numerose categorie di ceramica.
Le ceramiche smaltate sono chiamate maioliche; le altre, con copertura piombifera, terrecotte invetriate che nella tradizione vengono distinte in: ceramiche da fuoco, robba gialla, robba verde, robba paonazzo e robba smarmriata, cioè marmorizzata.
Categoria a parte è la robba bianca.
Sala 3
Le “fasse”
La cottura della ceramica richiede un controllo molto preciso della temperatura; nei forni a legna, usati nel passato, tale controllo era un’operazione molto delicata che di solito veniva affidata ad un esperto addetto esclusivamente a questa funzione, il fornaciaio, o allo stesso vasaio. Una conduzione poco accurata della combustione nella camera di cottura poteva gravemente compromettere il risultato dell’intera operazione, vanificando così settimane di lavoro dei vasai.
Di solito la cottura avveniva di notte e a sorvegliarla, più che il vasaio erano gli operai meno esperti che per accelerare l’operazione aggiungevano nella fornace, che raggiungeva anche i dieci metri di profondità, più palate di sansa del necessario;nel fondo la temperatura diveniva altissima, poteva addirittura superare i mille gradi, provocando la deformazione degli oggetti che arrivavano quasi alla fusione.
Le “fasse” sono pile di piatti che il fuoco ha contorto e saldato in strane e straordinarie forme. Esse sono la testimonianza di insuccessi dovuti ad errori dei fornaciai i quali spesso le nascondevano nei pozzi, per toglierle alla vista altrui. Oggi, riesumate e salvate, oltre ad indicarci le difficoltà cui venivano incontro i vasai, rappresentano tappe significative nella storia della ceramica.
Sala 4
La ceramica da fuoco
Sala 5
La Roba Verde
Sala 6
La “Roba Gialla”
Sala 7
La Roba Smarmriata (marmorizzata)
Romeo Leone
Già nel passato gli artigiani grottagliesi erano impegnati in una ricerca finalizzata alla riscoperta della tecnica che nell’antichità classica consentiva di ottenere la vernice nera tipica dei vasi attici: era considerato un segreto, quasi un mistero riuscire a realizzare quello che comunemente chiamavano“nerogreco”.
L’osservazione diretta di questa tecnica che la Bottega Vestita era riuscita a realizzare, ha sollecitato l’artista a recuperarla alla contemporaneità di nuove forme minimali, aniconiche, senza concessione ai decori, ottenendo, soprattutto attraverso linee di frattura o minimi tocchi sul corpo in fase di essiccazione, il distacco dalla produzione antica di forme perfette.
Le opere esposte in questa mostra appartengono a questo momento della sua espressione artistica ed esse, in questa sede, pur nel richiamare alla mente il fascino dei vasi attici, ci parlano del nostro mondo contemporaneo. Romeo Leone vive ed opera tra Taranto e Milano, città in cui ha insegnato “Plastica ornamentale” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.
Da lungo tempo svolge attività artistica in vari campi delle arti figurative, grafica, pittura, scultura e ceramica. Sue importanti mostre si sono tenute in Italia e all’estero. Vincitore di numerosi concorsi, ha realizzato in molte piazze italiane opere pubbliche tra cui monumenti e murales.
Attualmente coniuga, nel campo della ricerca ceramica, lo studio delle forme classiche con la sperimentazione dei rivestimenti.
Le opere di Romeo Leone sono vasi, forme minimali, aniconiche che nel colore, il nero greco, richiamano il fascino dei vasi attici, ma nella forma, attraverso linee di frattura e minimi tocchi sulla loro superficie in fase di essiccamento, si distaccano da questi.
La mostra rimarrà aperta sino al 7 marzo 2017. L’orario è il seguente: dal martedì al sabato dalle ore 9.30 alle 13.30. Martedì pomeriggio dalle ore 15.30 alle 18.30.
Si ringraziano:
– il Club UNESCO di Brindisi e il Museo Archeologico Provinciale “F. Ribezzo” (MAPRI) che hanno organizzato l’evento;
– gli artisti Mimmo Vestita di Grottaglie e Romeo Leone di Taranto;
– l’amico Mario Carlucci per la collaborazione
Commenti, didascalie e foto d’epoca sono stati tratti dal materiale espositivo della Mostra
Bellissima esposizione e ottima restituzione fotografica che ho provveduto immediatamente a salvare nel mio computer come manuale esplicativo della produzione e delle forme ceramiche di uso comune dell’area di Grottaglie e non solo, per affiancarla all’ormai storico volume del 1982 di Ninina Cuomo di Caprio, Ceramica rustica tradizionale in Puglia.
Mi auguro vivamente che possa essere fatto un catalogo di questa mostra, per il quale mi prenoto fin d’ora.
Grazie Mario, il tuo generoso commento ripaga del lavoro svolto!